storia
di VINCENZO "o bersagliere"
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Vincenzo
non era un barbone della stazione ma stava in uno dei quartieri
periferici della nostra città. Si chiamava "o bersagliere"
perché aveva fatto il soldato come bersagliere e lui era
fiero di questo soprannome.
Un pezzo d'uomo, sposato con tre figlie femmine e un maschio, lavorava
in un cantiere edile come mastro, era molto in gamba ed era contento
di quello che faceva.
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Un
giorno torna a casa e trova la moglie a letto con un altro. La sua
reazione fu quella di andarsene di casa, e cominciò a dormire
per la strada. Trovò una macchina abbandonata e quella divenne
la sua casa; nel frattempo incominciò a bere.
Un giorno si fece male al piede e seguì una infezione che
gli procurò una cancrena a causa della circolazione compromessa
dall'alcool. Gli amputarono la gamba destra ma lui continuò
a vivere allo stesso modo: si aiutava con una stampella di legno.
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Dopo
qualche anno si ripresentò lo stesso problema alla gamba
sinistra. Era diventato alcoolista e la circolazione andò
a farsi benedire. Gli amputarono anche l'altra gamba: il bersagliere
era ridotto sulla sedia a rotelle senza le due gambe. Dall'ospedale
fu mandato per la convalescenza dalle suore di Madre Teresa in Via
Tribunali. Ci sarebbe potuto restare per molto tempo ma un giorno
litigò con le suore ed andò via. Ritornò nel
suo quartiere dove era sempre vissuto e dove c'erano anche le sue
figlie alle quali a modo suo voleva bene ma che, di fatto, lo ignoravano.
La sua situazione certe volte mi sembrava irreale: un barbone senza
le gambe che in carrozzella girava per il quartiere.
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Vincenzo
viveva della carità della gente che conosceva. Tutti i sabati
mattina andavo a prenderlo con la macchina, mettevamo la carrozzina
nel portabagagli e lo accompagnavo in un istituto di suore a lavarsi
e a cambiarsi.
Il sabato in questo istituto c'era la possibilità di farsi
la doccia e di avere indumenti puliti. Era un momento che lui aspettava
non solo perché riusciva a ripulirsi - e lui ci teneva - ma
anche perché era un'occasione per poter parlare, lamentarsi,
sfogare con qualcuno i propri malumori. |
Certe
volte pensavo che mi aspettava più per questo motivo che
per la doccia. Lui viveva della carità delle persone e questo
nella sua situazione era necessario, ma non sempre trovava qualcuno
che si fermava ad ascoltare e a parlare con lui.
I suoi compleanni i suoi onomastici erano occasione di festa e gli
ultimi due natali della sua vita li avevamo trascorsi insieme. Dopo
cena passavo a prenderlo e veniva anche lui alla messa di mezzanotte
con me. II suo dolore in queste festività era ancora più
forte perché non riusciva ad accettare che i figli stessero
a casa a festeggiare e lui doveva restare da solo per la strada.
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La
situazione sembrò cambiare, quando gli arrivarono gli arretrati
della pensione d'invalidità, qualche decina di milioni. Una
delle figlie lo prese in casa e cominciò a prendersi cura di
lui. Durò un mese e mezzo, finiti i soldi, finì anche
la capacità di sopportazione della figlia e lui tornò
per la strada.
Non voglio lanciare accuse contro nessuno perché effettivamente
Vincenzo non era una persona facile: beveva, era handicappato, un
po' prepotente, non era sicuramente facile avere un rapporto con lui.
Erano evidenti le difficoltà con la famiglia.
Quello che penso è questo: spesso le difficoltà sono
vissute non come problema da affrontare e risolvere, facendosi anche
aiutare, ma invece come scusante per non fare una cosa. Voglio dire
che non condanno l'incapacità di affrontare una situazione,
perché nessuno di noi può giudicare, ma mi sconcerta
l'isolamento affettivo, l'emarginazione umana e sociale, per cui una
persona che perde i punti di riferimento ha difficoltà anche
nello scambiare una parola con qualcuno. |
Finiti
i soldi dovette ritornare nella strada; la delusione fu fortissima,
incominciò a bere ancora di più. II momento più
difficile fu quando venne coinvolto da persone del quartiere che
conosceva, in un traffico di droga. Per circa una settimana fece
da corriere perché nelle sue condizioni non era sospetto,
quindi poteva muoversi per il quartiere liberamente.
Mi raccontò che gli era stata fatta la proposta di collaborare,
dietro un compenso di circa 50.000 lire al giorno, cifra enorme
per una persona nelle sue condizioni. Questo è un aspetto
molto triste della nostra realtà così piena di problemi,
dove lavorare è un lusso e dove la malavita è pronta
a cogliere le occasioni e approfittare del bisogno delle persone.
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Devo
dire che in quell'occasione Vincenzo dimostrò un grande buon
senso, comprese che era preferibile fare delle rinunce più
che sporcarsi le mani con la morte di qualche giovane. Uno dei suoi
generi era tossicodipendente e capì che per assurdo poteva
essere lui ad alimentare le difficoltà della figlia: per questo
mandò tutto all'aria e ritornò a vivere di elemosina
rinunciando a quel guadagno facile.
La mia amicizia con lui fu di aiuto per le persone del quartiere:
queste si resero conto che con lui era possibile avere un rapporto
diverso. Cominciavano a vederlo con uno sguardo più comprensivo.
Vincenzo morì per cirrosi epatica, dopo circa un anno da quando
era stato mandato via dalla figlia, mentre si trovava ricoverato all'ospedale
S. Gennaro. |
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