i barboni n. 1

storia di ANIELLO

È morto un paio di anni fa ed è stata la prima persona che ho conosciuto alla stazione centrale di Napoli.

 

Un giorno mi trovavo lì perché dovevo partire, mi avvicino ai telefoni per una telefonata e ricordo che questo vecchietto in modo molto gentile mi chiese se avevo 500 lire (prima c'erano delle panchine sistemate vicino alle colonnine dei telefoni dove i barboni si sedevano, oggi non ci sono più), gli diedi le 500 lire e con molta cortesia mi ringraziò.
Dopo qualche giorno mi ritrovai di nuovo alla stazione: essendo rappresentante di abbigliamento viaggiavo spesso, e lo incontro di nuovo; questa volta lo saluto, mi risponde, mi chiede di nuovo le 500 lire. Gliele dò, mi ringrazia, gli dico ciao senza scappare come avevo fatto la prima volta.

La terza volta ci tornai apposta: lui era sempre lì, mi avvicinai con discrezione e cominciammo a parlare. Viaggiando spesso ho sempre pensato che dovevo aver incontrato Aniello anche in passato, anche se non me ne ricordavo.
Aniello mi raccontò della sua vita, della famiglia, dei fratelli tutti morti, di nipoti con cui aveva perso i contatti. II suo lavoro era stato "oliatore di saracinesche": lubrificava i binari delle saracinesche dei negozi; insomma si arrangiava, si guadagnava la giornata.

 

In una città come Napoli, quante persone lavorano a nero, si arrangiano?

Aniello non si era sposato, forse anche a causa della sua precaria condizione; aveva avuto una piccolissima stanzetta al rione Sanità.
L'età gli aveva complicato la vita, non era riuscito più ad arrangiarsi ed era finito alla stazione.
Perché non era andato in un dormitorio, in un istituto per anziani? Non lo so, ci sono delle cose che noi non possiamo capire, possiamo solo accogliere e rispettare senza avere la pretesa di voler cambiare la vita alle persone.
Quando il tempo era buono Aniello se ne andava un po' in giro anche se poi in realtà passava tutto il suo tempo alla stazione; era diventato anziano, non ce la faceva più tanto a camminare e quindi non si allontanava molto.
Era un tipo molto allegro, ci facevamo un sacco di risate quando mi raccontava delle sue ragazzate.

Una volta in occasione del suo compleanno andammo a mangiare in una trattoria vicino alla stazione che lui conosceva, da "Zi' Caterina".

Ricordo che mangiò senza dire una parola, penso che fosse da molto che non si sedeva a tavola con qualcuno.
La sua casa era la stazione; lì si lavava, si cambiava quando riusciva a procurarsi indumenti puliti, dormiva sui treni, insomma lì viveva, tra la gente, tra i tanti che passavano correndo, distratti, frettolosi.

 

E lì è morto!
Lo trovarono una mattina senza vita, in un vagone ferroviario dove si era rifugiato per passare la notte.

L'amicizia con Aniello, insieme all'ascolto del Vangelo, che sempre più chiaramente sembrava dire: "Vivi la tua vita, ma non dimenticarti di chi è più povero e sfortunato di te" rappresentò l'inizio di un vero e proprio servizio alla stazione.

Tutti i giovedì, verso le otto di sera, andavo alla stazione portando un termos con il latte e panini. Le prime volte andai da solo poi si formò un vero e proprio gruppo di volontari.

II servizio è continuato per più di tre anni ed in questi tre anni ho incontrato tantissime persone.
Quelle che ho conosciuto meglio sono per lo più adulti ed anziani, per un motivo molto semplice: i giovani, tanti, non stanno quasi mai nello stesso posto, si spostano, viaggiano, vanno da una città all'altra.

Una umanità disorientata fatta da ragazzi con enormi problemi familiari alle spalle, con problemi di droga ed alcolismo, da ragazze scappate di casa con l'illusione di una vita libera mentre poi finiscono sui marciapiedi; una umanità fatta anche da ragazzini di 10/12 anni senza un controllo familiare o addirittura cacciati di casa perché i genitori separati hanno iniziato una convivenza con qualcuno che non li vuole tra i piedi; una umanità fatta di stranieri venuti dai loro paesi poveri, inseguendo il miraggio di una sistemazione e che affannano a trovare qualcosa da fare.

Il servizio mirava ai bisogni concreti e quindi ci si preoccupava delle cose da mangiare, portavamo indumenti; se qualcuno non stava bene si cercava di farlo curare accompagnandolo in ospedale ed andandolo a trovare. Ma una delle cose che per noi era importante era trovare il tempo ed il modo per fermarsi a parlare con loro e ad ascoltarli.

 

Mi è rimasto impresso quello che un giorno mi disse un barbone: "Grazie per esserti fermato a parlare con me".
Non grazie per il panino o per la coperta, questo era sottinteso, ma grazie per averlo ascoltato.

Come è facile essere solo tra la folla. Credo che qualche volta anche noi avvertiamo questa sensazione, che fortunatamente per noi è passeggera.

Veramente dovremmo sempre ringraziare il Signore che non ci ha lasciato soli, donandoci fratelli e sorelle.