storia
di LIDIA
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È
stata la persona più incredibile che abbia mai incontrato: alta
un metro e 50, un caschetto di capelli bianchissimi, uno sguardo
che brillava di furbizia, 80 anni circa di età, una vitalità enorme
e soprattutto una donna coltissima con la quale si poteva parlare
di tutto e anche con un linguaggio ricercato.
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Lei
raccontava di essere stata molto ricca da giovane e personalmente
avevo verificato che molte delle cose che mi aveva raccontato erano
vere. Una vita vissuta nell'agiatezza, vacanze, viaggi, proprietà
immobiliari; diceva di essere figlia o nipote di "Pizzicato", una
grande rosticceria che prima era in Piazza Municipio.
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Viveva
a Pozzuoli, poi dopo il terremoto era andata a Castellammare insieme
alla cognata. Morto il fratello, lei e la cognata avevano vissuto
sempre insieme. Lidia accudiva la cognata che nel frattempo accusava
con l'età problemi di lucidità. Lidia aveva inoltre una sorella
con la quale però i rapporti erano pessimi e che non aveva voluto
più sentire parlare di lei.
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Lidia
aveva vissuto una vita molta tranquilla con la sua casa da accudire:
faceva la spesa, cucinava, doveva essere una bravissima cuoca. |
Cosa
succede nella sua vita? Un giorno Lidia cade, si frattura una gamba,
resta in ospedale per più di due mesi e al ritorno trova la sgradita
sorpresa che l'assistente sociale aveva provveduto a rinchiudere
in istituto la cognata e che anche per lei era stata pensata la
stessa cosa.
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Ma
lei si ribella: in istituto non ci sarebbe mai andata, e all'età di
circa ottanta anni, Lidia, cosa incredibile, va a finire alla stazione.
L'istituto è la soluzione più immediata rispetto al problema di chi
è anziano ed è da solo a casa; ma il problema è che spesso gli anziani
in istituto non ci vogliono andare. |
Una
volta venni a sapere, nel periodo in cui lei viveva alla stazione,
che si era ammalata ed era stata ricoverata in ospedale; da lì l'assistente
sociale era riuscita a mandarla in istituto. L'andai a trovare, e
Lidia mi supplicò di portarla via, mi disse che lei stava male, non
voleva stare in quella struttura. Quella volta non ebbi il coraggio
di farlo, ma la volta successiva venne via con me e la riaccompagnai
alla stazione. |
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Fu
un'esperienza traumatica per me. Avvenne l'esatto opposto di quello
che io pensavo. Anche per me l'istituto era una soluzione; non che
non lo sia in tanti casi; ma mi ero reso conto di assolutizzare le
soluzioni; voglio dire che io avevo una soluzione standard per tutte
le situazioni. In particolare ero dalla parte di chi pensava: "perché
certe persone devono stare per la strada, non sarebbe meglio che stessero
in un posto dove alcuni potrebbero prendersi cura di loro, dove avere
un piatto caldo, un letto, un tetto? |
La
risposta non è semplice, è complessa. Ognuno di noi ha un suo bagaglio
di esperienze, ha una sua storia particolare: ci sono abitudini diverse,
capacità diverse di relazionarsi e caratteri diversi. Per me vedere
questa anziana - arzilla ma sempre anziana - preferire la stazione
a quello che per me era il necessario e il sicuro, mi fece capire
quanto fosse forte la tentazione di voler imporre agli altri il proprio
punto di vista, il proprio modo di vivere senza preoccuparsi minimamente
di chiedere: "Scusa, ma tu di che cosa hai bisogno? Scusa, ma tu che
cosa vorresti veramente? |
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Con
la presunzione di sapere io cosa poteva servire agli altri. È stata
un'amicizia molto bella, era un piacere incontrarla: chiedeva di me,
si informava, mi dava consigli. Da esperta di cucina qual era, certe
volte stava anche un'ora a parlare di ricette. Spesso si lamentava
che il mangiare che i volontari portavano era cucinato male; e si
addentrava in spiegazioni dettagliate di come invece si sarebbe dovuto
cucinare quel piatto. |
Molti
dei suoi soldi erano spariti a causa di persone che approfittavano
della sua disponibilità e anche del suo bisogno. Per andare a prendere
la pensione c'era sempre qualcuno che si offriva e spesso lei tornava
a casa con molti soldi mancanti. Lei era una donna molto intelligente
ma restava una semplice e una ingenua. |
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Negli
ultimi tempi, ogni due mesi, l'accompagnavo con la macchina a Castellammare
a ritirare la pensione. La prima cosa che lei faceva era di darmi
i soldi per la benzina perché non voleva approfittare. Se qualche
volta veniva fuori il discorso dell'istituto, lei diceva sempre: "Ma
tu mi vuoi far morire? Ma ti rendi conto che lì si muore di solitudine?"
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Non
si era mai sposata perché pur avendo avuto molte persone che le
facevano la corte non si era mai innamorata veramente, né lei si
sarebbe mai sposata tanto per farlo. Era una che teneva banco, una
gran chiacchierona, una grandissima dignità anche mentre si grattava
per il prurito causato da una igiene poco curata per ovvi motivi;
ma quando veniva in macchina con me, si faceva trovare tutta ordinata
e con abiti puliti. Le avevo anche dato il numero di telefono del
mio ufficio, non se lo era scritto, lo ricordava a memoria e in
casi particolari mi chiamava.
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