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Abbiamo
raccolto questa testimonianza di padre Hector, parroco a San Salvador,
di passaggio a Napoli lunedì 12 febbraio, prima che si verificassero le
nuove scosse di terremoto del giorno 13 e 17 febbraio.
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D.
Conosciamo molto poco del tuo paese; puoi dirci qualcosa che ci aiuti
a farci un'idea?
R.
Di solito si dice che il Salvador è un paese del Sudamerica. Diciamo che
l'America si divide in tre parti: Nord America, Centro America e Sud America.
Noi apparteniamo al Centro America, che è sotto il Messico. Siamo confinanti
con il Guatemala, l'Honduras, il Nicaragua. Il Salvador viene detto anche
l'ombelico delle Americhe proprio perché si trova al centro delle tre
Americhe.
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D.
Quanti sono gli abitanti e quale religione professano?
R. Gli
abitanti sono poco più di sei milioni. Siamo una nazione molto popolosa
in rapporto all'estensione del territorio. Il paese è appena di 20.000
Kmq.
Oltre ai sei
milioni residenti, un altro milione di salvadoregni vive all'estero. Il
nostro è un paese piccolissimo, ma in rapporto all'estensione è molto
popolato.
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D.
Abbiamo sentito recentemente del terremoto del 13 gennaio scorso. Ma i
nostri giornali, dopo le prime notizie, non ne hanno parlato più. Puoi
darci delle notizie sul terremoto e sulla situazione attuale?
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R.
Il 13 gennaio c'è stato un terremoto, alle ore 11.35, di intensità 7,6 della
scala Richter. Ha colpito molto la fascia costiera che si affaccia sull'Oceano
Pacifico. Ha colpito anche altri paesi vicini come in Costarica, ma si è
sentito soprattutto nel nostro paese. L'epicentro è stato sulle nostre coste.
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D.
Sono stati molti i danni?
R.
Le nostre coste sono abitate da persone molto povere. Noi abbiamo già
avuto un terremoto nel 1986 che colpì piuttosto la capitale; ma ora questo
terremoto del 2001 ha colpito soprattutto le campagne, dove le case sono
di terra e fango. Sono crollate e si calcola che un milione di persone
sono state colpite, con le case danneggiate. Ora sono rimaste senza un
tetto.
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D.
Hai detto che la gente è molto povera. Ci puoi dire come vivono queste
persone, ilavori che fanno prevalentemente. Ho sentito dire che molti
vivono alla giornata, inventandosi giorno per giorno un modo per far mangiare
la propria famiglia. Come vive la maggioranza della gente, come si sostiene?
R. Ti posso
parlare a partire della mia esperienza personale. Io vengo dal mondo contadino
e conosco bene questa situazione. In campagna la gente lavora la terra;
da noi si coltiva il mais, fagioli, riso, il caffè, la canna da zucchero.
Queste sono le cose che più si producono.
Però la gente è povera. Il lavoro di campagna è molto costoso per i contadini,
ed essi vengono pagati poco. Le loro coltivazioni servono soltanto per
sopravvivere.
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EL
SALVADOR
Nome
ufficiale: Repubblica di El Salvador
Capitale: San Salvador
Popolazione: 6,1 milioni
Valuta: Colón
Lingua ufficiale: spagnolo
Fra
le repubbliche centroamericane El Salvador è la più piccola
e la più densamente popolata. Si affaccia sulla costa del Pacifico
in una zona sismica.
Tra il 1979 e il 1981, circa 140 anni dopo l'indipendenza (1841), il
Paese è stato devastato da una guerra civile che ha opposto i
guerriglieri dell'FMLN ai governi conservatori appoggiati dagli USA.
Raggiunto - con la mediazione dell'ONU - un armistizio, El Salvador
si è concentrato sulla ricostruzione di una economia distrutta.
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Per
questo la gente che può va in città e torna alla fine della settimana, cercando
di fare qualche soldo per i suoi, per mangiare. La gente di campagna che
ora è rimasta colpita dal terremoto, purtroppo non ha introiti se non quelli
per la sopravvivenza, per portare avanti la propria famiglia. E le loro
famiglie sono numerose. |
D.
Sappiamo che tu sei parroco. Ci puoi dire come si svolge il tuo lavoro
pastorale, come si lavora nella parrocchia? Quanto è grande la
tua parrocchia? Da che cosa viene assorbito la maggior parte del tuo tempo?
R. La
mia parrocchia si chiama "Gesù di Nazaret". Si trova alla periferia della
capitale, in quartieri poveri; per la maggior parte sono operai, alcuni
sono impiegati, qualche professionista ci sarà pure. Di solito sono persone
che lavorano nell'artigianato, oppure hanno piccoli negozi "di sopravvivenza".
Il numero di abitanti della parrocchia è di 17.000 persone.
In confronto ad altre parrocchie con 40.000 o 60.000 abitanti, possiamo
dire che la mia è una parrocchia piccola. La gente che più frequenta la
parrocchia, le persone più impegnate sono circa 400. Abbiamo 16 piccole
comunità, che si riuniscono nelle case. Abbiamo fatto almeno 3 o 4 missioni
per evangelizzare le persone, e da lì sono scaturite queste piccole comunità.
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D.
Ci puoi spiegare che cosa sono queste piccole comunità?
R. Di
solito ci raduniamo per creare amicizia e la Parola di Dio è a
centro di questi incontri. C'è un responsabile della comunità che porta
avanti gli incontri. I responsabili sono laici.
Io lavoro di intesa con questi responsabili che sono una trentina e che
si prendono cura delle piccole comunità: ci sono una o due persone per
ogni comunità. Io mi raduno con loro, mi preoccupo della formazione, abbiamo
degli incontri per questo. E così portiamo avanti queste piccole comunità.
Ci ritroviamo attorno alla parola un giorno alla settimana come pure per
celebrare l'Eucarestia.
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D.
Ci puoi descrivere com'è la tua vita di parroco? Come si svolge la vita
parrocchiale? In Italia tanti parroci hanno cominciato a ripensare la
vita della parrocchia. Una parrocchia tutta assorbita dalle attività sacramentali,
che vive all'interno dell'edificio sacro, o una parrocchia che esce fuori?
E come uscire fuori, incontro alla gente?
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Queste
sono domande che tanti responsabili della pastorale si pongono. Non è
facile rispondere quando alle spalle c'è una storia di secoli, una
tradizione in cui il parroco stava sempre in chiesa, usciva per portare
la comunione agli ammalati o i sacramenti ai moribondi. Essenzialmente il
parroco era il ministro dei sacramenti. Come stanno le cose da voi? |
R. Si può
dire che in alcune cose siamo simili, nel senso che durante il giorno
non c'è quasi niente che si possa fare.
Nella mia parrocchia, che è nella capitale, tutta la gente durante il
giorno sta lavorando. I bambini sono a scuola, tutti sono fuori. Quindi
il nostro lavoro è piuttosto di sera.
Quasi tutto, i raduni, la formazione, il lavoro della comunità,
lo facciamo di sera.
Per esempio: io il martedì, giovedì e sabato celebro l'Eucarestia alle
ore 19. Il giovedì, dopo la messa, c'è un'ora di preghiera. E la gente
partecipa molto. Il sabato celebro già la messa prefestiva. E la domenica
arrivano 200 persone in chiesa per la messa delle 8.00. Poi ho altre due
messe in altre zone. E anche lì c'è un centinaio di persone per ogni messa.
Quindi il nostro lavoro, nella capitale, si fa piuttosto di sera. In campagna,
invece, la gente ti cerca di più. Il fine settimana, nella capitale, la
gente arriva; e allora si fa la catechesi: per la cresima, la prima comunione,
per quelli che si preparano al matrimonio. E così via. Però noi per evangelizzare
usciamo dalla nostra parrocchia.
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D.
Spiegaci che significa per voi uscire, che cosa fate?
R.
Per esempio: io, il mercoledì non celebro l'Eucarestia in chiesa, ma vado
in giro per le piccole comunità. Si radunano 10-12 persone attorno alla
parola; uno fa la guida e gli altri partecipano con la loro riflessione,
dicendo quello che per loro significa la Parola di Dio ascoltata.
Poi si fa una piccola preghiera e si conclude col "Padre nostro".
Si inizia sempre con una piccola agape: si prende un caffè, qualcosa da
mangiare, un gelato.
Come sono scaturite
queste comunità? Si è iniziato con delle persone che erano già
impegnate in parrocchia; siamo usciti a coppie, a due a due. Anch'io ho
preso una persona con me, e siamo andati per le case.
Abbiamo bussato a tutte le case, non abbiamo escluso nessuno; siamo andati
in tutte le case, quelle cattoliche, quelle protestanti, quelle delle
sette.
E' stato il primo annuncio del Vangelo. Abbiamo aiutato le persone a rendersi
conto che Dio li ama, che è misericordioso, che vuole loro bene.
E desidera che ci convertiamo a lui. E' un Dio che non vuole che noi siamo
soli, ma che stiamo insieme, che diventiamo comunità.
Dopo un certo tempo, almeno dopo tre o quattro visite di seguito in ogni
casa, facciamo un raduno, lì nello stesso quartiere: le persone che sono
vicine si radunano a casa di uno di loro e si inizia con una prima riunione.
E dopo si va avanti piano piano.
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D.
Un'ultima domanda, una curiosità: come mai ti trovi in Italia, c'è stato
un motivo particolare per cui sei venuto?
R.
Io ho un'amicizia con la Comunità di Sant'Egidio dalla fine del 1989,
con dei membri della Comunità, con Giovanni, Francesca, Paola. Ho conosciuto
pure don Vincenzo dopo. Sono venuto per questo convegno. Ho partecipato
sin dal primo convegno; ora era il terzo ed aveva per tema "la Chiesa
e il nuovo millennio". Siamo stati insieme con vescovi e preti di
tutto il mondo, delle varie confessioni cristiane: ortodossi, protestanti,
cattolici. Abbiamo parlato di "Vangelo e Parrocchia", abbiamo riflettuto
sul cammino della comunità che vuole farsi vicino a tutti e aiutare
a comunicare il Vangelo in questo mondo.
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D.
Ci puoi dire qualcosa di questo Convegno,
qualcosa su cui ti sei fermato di più e che può aiutare anche noi?
R. Una cosa
che mi ha colpito e che mi porto nel cuore … magari noi stiamo cercando
di farlo già, ma bisogna arricchirlo: la parrocchia
è una casa per tutti … questo mi ha colpito molto perché vedo
che tante volte ci sono difficoltà ad aprirsi a tutti, per far
diventare la parrocchia una casa per tutti. Anche se io conosco delle
testimonianze belle in questa direzione, persone che hanno cominciato
a vivere questa accoglienza larga, verso tutti; un'amicizia che ci fa
essere "uno" anche se non crediamo tutti allo stesso modo.
Mi ha colpito l'apertura della Comunità di Sant'Egidio verso gli
altri, specialmente quando sono bisognosi, quando sono in cerca della
pace ... questo lavoro per la pace fatto senza nessun interesse, senza
volere qualche contraccambio, che ci dia qualcosa. Direi che questo è
il Vangelo vissuto, proprio come deve essere.
E questo mi ha colpito molto, perché io vedo che il Vangelo non è teoria
ma è una parola da vivere. Si mette in pratica e basta.
E' la prima
volta che sono venuto a Napoli, sono molto contento di essere stato accolto
dalle persone della Comunità, di aver conosciuto la casa-alloggio degli
anziani(1). Ho conosciuto
l'esperienza della Comunità qui. Debbo dire che è una comunità molto gioiosa.
L'amicizia è dappertutto. E poi questo amore con cui si fa il lavoro,
veramente mi evangelizza, mi sento molto colpito. E ringrazio per tutto
questo. Quest'amicizia mi fa sentire che siamo Chiesa universale: dovunque
siamo stiamo lavorando per lo stesso regno, il regno di Dio.
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(1)
E' una casa che si trova nel centro storico, dove vivono degli anziani che
non riuscivano più a stare da soli. Hanno messo insieme le loro pensioni
e sono aiutati dalla Comunità di sant'Egidio. |