Noi sappiamo che questa è un’illusione. Siamo qui insieme, infatti, per ribadire con chiarezza che il coraggio è andare verso un umanesimo di pace. Tuttavia il coraggio di costruire un umanesimo di pace deve partire dalla considerazione della realtà, da una coscienza lucida di essa. Non possiamo ignorare l’evidenza del legame tra il male che è presente nelle società e la pena di morte. Si tratta di un legame che si instaura molto prima della formalizzazione di una legge, si nutre delle paure figlie della violenza, che si materializzano nei pregiudizi e nei giudizi di morte.
Gli orrori della guerra, della morte e della violenza, portano pericolosamente ad un abbassamento del valore della vita e del rispetto della dignità della persona. Si instaura l’abitudine ad accettare il male come qualcosa di inevitabile, e i segni dell’imbarbarimento sembrano sempre meno evidenti, confusi fra mille problemi, messi a tacere dalle continue emergenze, fino ad arrivare alla giustificazione degli orrori. Il valore della vita si indebolisce e le leggi dure non attenuano le paure e non rendono più sicure le società e la convivenza civile.
Noi crediamo che il male lo si può vincere solo con il bene e oggi la lotta contro la pena di morte è diventata una forza di bene, chiara affermazione del valore della vita, e al tempo stesso rappresenta una grande novità.
Gli ultimi 30 anni hanno modificato nel profondo il sentire e il pensiero del vecchio continente, fino a rendere l’abolizione della pena di morte una condizione di appartenenza. È evidente che, là dove la pena capitale è scomparsa, anche le opinioni pubbliche hanno cambiato orientamento, e la cultura della morte ha meno spazio. È anche il caso della Francia, dove questo è avvenuto in poco tempo, ma in maniera forte e decisiva.
È una consapevolezza chiara che è cresciuta di fronte all’orrore della grande strage della seconda guerra mondiale e che ora si diffonde e si trasmette negli altri continenti.
L’Europa non è più sola in questa battaglia. Questa sensibilità si è fatta strada anche in America Latina, dove la quasi totalità dei paesi ha abrogato la pena capitale, ed ora anche molti paesi africani si sono incamminati sulla strada dell'abolizionismo. Si tratta di un movimento ampio, che abbraccia gran parte dell'Africa, a cui partecipano nazioni spesso afflitte da gravi condizioni economiche o conflitti interni, che, nonostante ciò, hanno intrapreso la strada dell’abolizionismo, anche attraverso l’incoraggiamento di attivisti dei diritti umani e di associazioni laiche e religiose.
Anche sull’altra riva del Mediterraneo, dal grande mondo arabo e musulmano ci giungono esempi che ci edificano, penso alla pratica del perdono da parte dei familiari delle vittime, che costituisce una autentica difesa della vita.
Le logiche della rappresaglia e della vendetta possono indurre a perdere la memoria di quegli elementi di clemenza, perdono e riabilitazione che, pure, sono presenti nelle culture, nelle religioni e nelle antiche tradizioni di dialogo e convivenza.
Anche in Asia centrale ormai le Repubbliche ex sovietiche tendono ad abbandonare la pratica della pena capitale - ed ora abbiamo anche la prospettiva di una abolizione della pena di morte in Uzbekistan nel 2008, anche grazie al lavoro congiunto di Tamara Chikunova e della Comunità di Sant’Egidio.
Certo abbiamo assistito in alcuni paesi, anche a causa della guerra, ad un ritorno indietro: dopo molti anni di moratoria o di abolizioni de facto sono ricominciate le esecuzioni capitali. Restano ancora tanti paesi del mondo sui quali pesa il clima attuale e dove l’affermazione della sacralità della vita potrebbe davvero costituire un’alternativa alle logiche di odio e vendetta.
In questo senso la Comunità di Sant’Egidio ha voluto costituire una grande rete di città e paesi che dicono no ad una giustizia concepita senza la vita. Da quattro anni, ormai, il 30 novembre si celebra la giornata internazionale delle città contro la pena di morte, a cui aderiscono 300 città nel mondo illuminando in quel giorno il loro monumento più significativo. Le adesioni crescono ogni anno nel numero e nella determinazione, nel coraggio di guadagnare terreno alla bellezza di un umanesimo di pace.
Ma ciò che preoccupa è anche la grande sofferenza e il pericolo per la vita stessa dei più poveri, nella gran parte delle prigioni del mondo: in Europa, nelle Americhe, in Asia, in Africa.
L'incontro con il carcere è incontro con la povertà, la sofferenza, l'ingiustizia e la morte. Nelle diverse misure questo è vero ovunque nel mondo. Si, la morte: non solo la morte data per condanna, per legge, ma anche, troppo spesso, soprattutto nei paesi più poveri la morte colpisce troppo facilmente per la fame, la sete, gli stenti, le malattie, l'assenza di cure. Quanto è più facile essere condannati se si è poveri, come è facile morire di fame, come è facile essere dimenticati e morire!
Scrive un condannato a morte dello Zambia: "Sono magro come un passero affamato. Qui nel braccio della morte dello Zambia soffriamo la fame e il sovraffollamento. I prigionieri si deformano per la malnutrizione. La nostra condizione è inumana, paragonabile alle flotte di navi che erano solite trasportare gli schiavi dall'Africa all’America durante l'era del commercio degli schiavi. Sono stato testimone della morte di cinque persone che si sono ammalate e potevano essere salvate. Sono stati i peggiori momenti della mia vita".
Dunque come è facile morire, ma anche: come è facile aiutare! Affermare il valore della vita, del diritto alla vita, è anche affermare il valore del ricordo: ricordare chi è lontano è dare a tutti, non solo ai vicini ma anche ai lontani, il diritto di esistere e di non essere dimenticati. Allora anche l’informazione, la memoria, la preghiera, la corrispondenza… umanesimo di pace che rompe le distanze e spegne la violenza.
E’ facile aiutare: in alcuni paesi basta poco per cambiare radicalmente la vita delle persone. A volte sono sufficienti poche centinaia di euro per cambiare il destino di un condannato a morte. Quanto conta aiutare una sola vita! E’ una forza che si comunica attorno.
La Comunità di Sant’Egidio offre sostegno a queste persone attraverso una rete di aiuto che arriva nelle prigioni più lontane e sconosciute, luoghi di miseria e sofferenza.
E’ una rete di attenzione alla vita che va crescendo. Passa attraverso l'aiuto al singolo con l'invio di semplici generi di sopravvivenza, ma passa anche per la corrispondenza che ormai per oltre 900 condannati a morte è diventata un canale insostituibile di amicizia. Un condannato a morte sempre dallo Zambia ha scritto: “Da quando mi scrivete la mia vita è cambiata. Ora sono felice”.
E’ importante allora ricordare il fondamento della radicale dignità di qualsiasi persona umana, che non può venire offesa da nessuno. Dio disse: "Facciamo l'uomo a nostra immagine", qui Dio stesso, in un certo modo, ha tanto rispettato la dignità delle sue creature da auto limitarsi scegliendo di essere Padre. La paternità di Dio è il mistero di amore che fonda l'inviolabile dignità di ogni uomo e la fraternità fra tutti gli uomini e tutti i popoli. La paternità di Dio, e quindi la somiglianza con Dio, fondano anche la redimibilità dell'uomo: nessuno è irrimediabilmente condannato sulla terra perché nessuno è impenetrabile all'amore, e per questo nessuno deve mai essere giudicato, perché nessuno è mai, irrimediabilmente perduto.
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