Gesù, mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: Guarisci! |
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Dal Vangelo di Marco capitolo 1 versetti da 40 a 45
40Venne a Gesù un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi guarirmi!».
41Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, guarisci!».
42Subito la lebbra scomparve ed egli guarì.
43E, ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: 44«Guarda di non dir niente a nessuno, ma và, presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro».
45Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte.
una vicinanza e una presenza d'amore
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L’incontro con Gesù e l’incontro con i poveri
Nella società ebraica la lebbra era una malattia che portava alla separazione e all’isolamento. Erano motivi di tipo medico e profilattico, ma anche di tipo religioso: il lebbroso doveva rendersi riconoscibile con gli abiti laceri, i capelli scomposti e la barba coperta e mettere in guardia i passanti da possibili incontri. Al lebbroso era proibito anche di sostare all’interno delle mura di una città.
Oggi la lebbra è stata vinta dalla medicina, è facilmente curabile, ma il pregiudizio che alcune persone debbano essere allontanate dalla nostra vita si manifesta anche oggi verso persone tenute ai margini, allontanate e dimenticate.
Eppure l’incontro di Gesù col lebbroso – di cui ci parla oggi la pagina del Vangelo – ci fa pensare ai tanti che continuano quello di Gesù con quel lebbroso: “mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: Lo voglio, guarisci”. Penso alle notti trascorse accanto a un anziano la cui vita sta per spegnersi, alle visite in carcere a detenuti che non sono i propri parenti; penso all’amicizia verso le persone che vivono per strada, penso al sacerdote don Andrea Santoro, ucciso in Turchia domenica scorsa dopo la celebrazione dell’Eucaristia, da un giovane musulmano, lui che era andato a vivere in mezzo ai musulmani e voleva essere un fratello in mezzo a loro.
L’amore spinge i cristiani, seguaci del loro Maestro
Tante volte anche a qualcuno di noi hanno chiesto: perché state vicino a questo anziano che non è nemmeno vostro parente? Perché andate a cercare i barboni per strada e vi preoccupate che possano morire di freddo? Perché vi interessate dei carcerati, anche di quelli che stanno nel braccio della morte?
Non è difficile rispondere: perché noi abbiamo una persona che ci insegna come essere uomini in questo nostro mondo. Questa persona è Gesù. Da lui e dal suo Vangelo impariamo a vivere e a muoverci in mezzo agli altri. Quel lebbroso va da Gesù perché sa che non sarà cacciato via. Ha sentito di tanti malati guariti, di tanti che hanno incontrato il suo sguardo pieno di amore. Noi viviamo da cristiani quando impariamo a non mandar via nessuno, a guardare negli occhi chi chiede aiuto, a guardarlo con la commozione di Gesù.
Questa responsabilità di vivere in maniera umana la sentiamo tanto più fortemente oggi quanto più vediamo che il nostro mondo diventa violento, disumano, indifferente. La Chiesa, con tutte le sue debolezze e infedeltà, è un luogo di umanità. Noi che siamo facili a vedere le zone d’ombra che ci sono anche nella Chiesa, dobbiamo sapere che sono molti quelli che vivono lasciandosi trasformare dal Signore Gesù e che in tanti luoghi bui di dolore e di sofferenza la luce della Chiesa è l’unica che rischiara quel buio.
L’importanza dello spazio della preghiera
Tante cose rimangono nel segreto di amicizie profonde, perché i cristiani non cercano la pubblicità, i riconoscimenti terreni. Gesù stesso dice al lebbroso di “non dire niente a nessuno”, anche se per la gioia della vita ritrovata quel lebbroso guarito non riesce a tenere per sé quella che è stata la sua resurrezione. I “luoghi deserti” in cui spesso Gesù si ritira sono lo spazio della preghiera, uno spazio che anche noi cristiani dobbiamo imparare a cercare sempre di più nella vita movimentata di oggi e a difenderlo dalle troppe occupazioni. È lo spazio in cui il Signore ci aiuta a guardare dentro di noi, ad aprirci ai doni che rendono nuove le nostre umanità, lo spazio che ci rigenera a una vita che ci fa guardare il volto dei poveri, dopo aver fissato lo sguardo sul volto di Gesù.
Ed è proprio da questo dialogo di amicizia con Dio - la preghiera – che nasce l’uomo nuovo e la terra nuova di cui ci parlano le Scritture: “deponete l’uomo vecchio con la condotta e rivestite l’uomo nuovo, creato secondo Dionella giustizia e nella santità vera” (Efesini 4,22-24); “noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia” (2 Pietro 3,13). Noi possiamo e vogliamo diventare sempre più simili al Signore Gesù e vogliamo poter dire con l’apostolo Paolo: “io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare l'utile mio ma quello di molti, perché giungano alla salvezza” (1 Corinzi 10,33). È l’invito alla santità, a cui tutti siamo chiamati.
Una presenza d’amore
E ritornando sulla vicinanza a quelli che sono più dimenticati, voglio aggiungere qualcosa su don Andrea, il prete ucciso domenica scorsa. Don Andrea Santoro era andato a vivere dal 2000 in una piccola comunità di una città della Turchia, Trebisonda, dove erano rimaste appena una decina di persone. Una terra dove un tempo c’era una grande comunità cristiana. Chiese antiche, monasteri, liturgie in tante lingue e riti, quando il canto degli armeni si intrecciava con quello dei greci. Era l'inizio del secolo scorso. L'hanno cancellata massacri terribili e spostamenti di popolazione in seguito alle vicende politiche della prima guerra mondiale. La moderna città nasconde la storia di una sofferenza antica e tanti morti cristiani in viaggi estenuanti, in massacri, affogati in mare. Ma è storia di quasi un secolo fa.
La Turchia è la patria della predicazione cristiana, dell'apostolo Paolo, cittadino di Tarso, e della sua evangelizzazione, delle Chiese dell'Apocalisse. Sono rimasti solo alcuni cristiani, pochissimi, fantasmi di un passato, che sembrano resti di un naufragio storico. Privi di futuro. Storie antiche, su cui non si piange, anche se i nomi di quelle città sono familiari all'amico della Bibbia. Qui era tornato don Andrea, prete romano, per dire con la sua presenza che Dio è amore: Dio ama tutti, lui, i cristiani, i turchi, i musulmani, gli ebrei.
Vogliamo pregare oggi, e non solo oggi, per i pochi cristiani rimasti, pregare per quella terra santa, benedetta dai piedi di coloro che hanno annunciato l'Evangelo: quell'Oriente da cui è sorto il sole della predicazione di Gesù, che ha illuminato il mondo. Preghiamo perché non resti senza la missione d'amore la terra che ha dato Paolo e tanti altri.
Intenzioni di preghiera:
- Signore aiutaci sul tuo esempio ad incontrare e ad aiutare chi è malato, a comprendere il grande bisogno di guarigione e di salvezza che vivono quanti hanno la vita segnata dal dolore. Donaci la tua compassione per consolare e non rassegnarci mai di fronte al male.
- Ti preghiamo o Signore per il Papa Benedetto XVI, per il nostro vescovo Michele e per tutta la Chiesa perché imitandoti sappia prendersi cura dei più deboli e di tutti i poveri.
- (un bambino) Gesù, fa’ che quando incontro un povero, io non mi giri dall’altra parte, ma lo guardo con amore.
- Ti preghiamo o Signore perché le ferite della guerra, della fame e dell’abbandono di cui soffrono molti paesi possano essere guarite. Fa o Signore che la pace venga presto per ogni popolo e che ciascuno di noi offra il suo cuore e le sue mani per realizzarla specie dove c’è odio e inimicizia.
- Ti preghiamo, Signore Gesù, tu che stendi la tua mano per lenire il dolore degli uomini, che sei medico delle anime e dei corpi, ricordati in particolare di chi è colpito in Africa dall’AIDS.
- Signore tu che liberi ogni uomo dal peso che lo opprime, risanaci dal peccato che ci divide e da ogni pregiudizio e discriminazione, rendi la nostra umanità capace di comunicare il Vangelo e insegnaci a custodire il vincolo della fraternità.
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