"Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! " . |
|
Dal Vangelo di Marco capitolo 11 versetti da 1 a 10
1Quando si avvicinarono a Gerusalemme, verso Betfage e Betania, presso il monte degli Ulivi, mandò due dei suoi discepoli 2e disse loro: «Andate nel villaggio che vi sta di fronte, e subito entrando in esso troverete un asinello legato, sul quale nessuno è mai salito. Scioglietelo e conducetelo.
3E se qualcuno vi dirà: Perché fate questo?, rispondete: Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito». 4Andarono e trovarono un asinello legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo sciolsero. 5E alcuni dei presenti però dissero loro: «Che cosa fate, sciogliendo questo asinello?». 6Ed essi risposero come aveva detto loro il Signore. E li lasciarono fare.
7Essi condussero l’asinello da Gesù, e vi gettarono sopra i loro mantelli, ed egli vi montò sopra. 8E molti stendevano i propri mantelli sulla strada e altri delle fronde, che avevano tagliate dai campi. 9Quelli poi che andavano innanzi, e quelli che venivano dietro gridavano:
Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! 10Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!.
una settimana da vivere accanto al signore
|
|
Volgiamo i nostri occhi al Signore
Si apre oggi la grande e santa settimana della passione, morte e risurrezione del Signore Gesù, la settimana del Triduo Santo, che noi accompagneremo con la celebrazione della memoria dei martiri, la memoria della lavanda dei piedi nell'ultima cena, ma soprattutto con la nostra preghiera, il nostro silenzio, la nostra pietà.
Nei giorni prossimi la Parola di Dio ci accompagnerà perché i nostri occhi non si stacchino da Gesù. Sì, dobbiamo tener fissi i nostri occhi su Gesù che accetta anche la morte, pur di salvarci. “Vogliamo vedere Gesù”, dicevamo la scorsa domenica. Questo è la settimana santa: volgere i nostri occhi a colui che è stato trafitto, Cristo Signore, l'amico degli uomini. L'amico anche di Giuda... di quel Giuda che sono io. L'amico di Pietro, che è tanto poco consapevole di se stesso, che nega perfino di conoscerlo... l'amico di quel Pietro che sono io.
Nella passione ognuno appare come è veramente, non come crede di essere, non come vorrebbe essere. Ognuno si scopre più povero e più cattivo di quel che normalmente pensa. Ma il canto del gallo ci risveglia e ci ricorda le parole di Gesù su di noi e sulla nostra vita. Parole giudicate ora troppo esigenti, ora esagerate. Ognuno, come Pietro, può vedere che cosa abbiamo fatto: quali sono le conseguenze, i frutti, del nostro piccolo egoismo, della nostra preoccupazione per noi stessi, della comprensibile ricerca di un po' di tranquillità e di sicurezza... i frutti insomma di quello che normalmente pensiamo siano i nostri piccoli difetti, il condizionamento delle circostanze, ovvero la ragionevole e naturale preoccupazione per sé. Insomma ciò che ci sembrava innocuo o comunque scusabile si rivela per quello che è. L'assenso alla congiura che vuole far tacere per sempre Gesù.
Si pensa che felicità è evitare il dolore altrui. Che felicità è pensare a sé. Che felicità è evitare di essere toccati dalla sofferenza. In fondo la sofferenza è come una malattia che può contagiare la mia felicità, ammalarla di preoccupazione e farmi cadere nell'infelicità. Meglio starne alla larga.
Tante volte si pensa: “Se sta male, avrà le sue colpe! Avrà fatto i suoi errori! Quell'uomo poteva starci attento!”. Si trovano tanti motivi per spiegare il dolore altrui e per giustificare il proprio disinteresse. Lo si vede anche di fronte alla croce di Gesù. In questa scena evangelica succede quello che potremmo giudicare assurdo. Ma non è poi tanto assurdo. È la normalità della vita. Si legge nel Vangelo della passione, che rappresenta il cuore di questo Venerdì Santo: “i passanti lo insultavano e, scuotendo il capo, esclamavano: Ehi, tu che distruggi il tempio e lo riedifichi in tre giorni, salva te stesso scendendo dallacroce!”. I passanti scuotevano il capo: spesso i poveri, i miseri, i vinti e i feriti dalla vita sono insultati. Questo insulto manifesta la propria potenza, la propria differenza da loro.
Ci si allontana da Gesù sofferente. Si va per la propria strada: chi si disperde, chi si interessa di altro. La gente si allontana da chi soffre. Così ci si allontana da questo nostro Dio che soffre. Questa è in fondo la normalità della vita: stare lontani da chi soffre. È la normalità dell'Europa: i muri alti e le frontiere ben protette verso un mondo che soffre, senza poi porsi problemi sulla realtà di quel mondo e su quello che si potrebbe fare. Stare lontani è diventata anche una scelta politica. Si dice che si trovi consenso attorno ad essa.
La gente cammina per la propria strada, sperando di avere fortuna e di non dover mai trovarsi in una condizione dolorosa. Questa è la vita: ognuno cerca di star meglio lui e poi il resto... Si dice (o si pensa): “Non posso assumermi sulle spalle il dolore del mondo”. Gesù, che è crocifisso, si voleva assumere il dolore del mondo.
Non c'è pietà per chi soffre in modo così grave. Non c'è pietà che per se stessi. Non c'è pietà verso Gesù nemmeno da parte di chi è condannato alla stessa pena e sta sulla croce accanto a lui. Anche questo è terribile. Nemmeno i disgraziati finiscono per avere pietà di chi è disgraziato come loro. È la legge della vita, di questa terra di angosce.
La vita che non finisce.
E la vita di Gesù finisce soffocata dal grande dolore della croce e da quello di un terribile processo. Quando viene posta una pietra pesante sulla sua tomba sembra che una pietra pesante sia posta sul suo sogno. Quella pietra significa fine. Che il mondo riprenda a funzionare come ha sempre funzionato! Chi vuol essere felice cerchi di salvare la sua felicità, cerchi di salvare se stesso, vada lontano da chi soffre e sta male. Vada con chi è forte e ricco, con chi può dare qualcosa, protezione, benessere. Questo è il mondo e non sarà un uomo a cambiarlo! Nemmeno Gesù! Quindi neppure tu!
Di fronte alla croce di Gesù, nel silenzio di fronte al suo sepolcro, noi cominciamo a comprendere qualcosa di lui e qualcosa di più di noi. La croce ci parla del dolore di Gesù, che richiama tanti altri dolori. Perché lui ha sofferto come tanti. Quante sono le croci di questo mondo... È storia di ieri ma anche storia di oggi.
Come Pietro, il canto del gallo, ci richiama alla mente le parole - che abbiamo forse giudicate eccessive - di Gesù. Noi, convinti di noi stessi, come Pietro, alla fine, dopo tante parole ricevute, siamo sorpresi dagli eventi della passione, siamo beffati dal male, ci scopriamo vili e insensibili.
Ma c'è una grandezza di Pietro. Che per noi è una domanda in queste ore. La grandezza di Pietro, che piange sul suo peccato, che sa tornare bambino, cioè piccolo, per accogliere il Regno dei cieli, per entrarvi attraverso la porta stretta del pentimento. Possa ognuno di noi, in questi giorni, avere il dono delle lacrime come l'ebbe il primo degli apostoli quella sera del tradimento, affinché anche noi ci accostiamo nuovamente al Signore e iniziamo a seguirlo con un cuore nuovo.
Questi santi giorni si aprono con la memoria dell'ingresso di Gesù in Gerusalemme. Il viaggio, iniziato dalla Galilea, si conclude. Le ultime tappe sono Betania e poi Betfage-Betania, sul monte degli Ulivi, come scrive il Vangelo di Marco. Gesù manda avanti due discepoli perché procurino per lui una cavalcatura. Vuole entrare in Gerusalemme come mai aveva fatto prima. Fino a quel momento, infatti, si era tenuto come nascosto. Ora voleva entrare nella città santa e nel Tempio rivelando con chiarezza la sua missione di vero pastore d'Israele, anche se questo - e Gesù lo sapeva bene - lo avrebbe portato alla morte. Era il momento decisivo per la sua missione e per la sua stessa vita. Gesù non entra trionfalmente nella città, ma su un asino. Scrive il profeta Zaccaria: "Esulta, figlia di Sion! Fa sentire il tuo osanna, figlia di Gerusalemme! Ecco il tuo sovrano viene a te, umile, cavalcando un asinello, seduto su un puledro d'asina".
Gesù entra nelle città di questo nostro mondo mentre la vita degli uomini è tragicamente segnata dalla disumanità e da conflitti di ogni genere. Abbiamo bisogno di un liberatore. Gesù è il solo che può liberare gli uomini dalla guerra, dalla violenza, dall'ingiustizia. Il suo volto non è quello di un potente o di un forte, bensì di un mite ed umile di cuore che non è venuto a salvare se stesso ma gli altri. E ha fatto di questo lo scopo della sua vita. Passano pochi giorni - in fondo - da quell'ingresso trionfale in Gerusalemme e subito diviene il crocifisso, il vinto. È il paradosso di questa domenica delle Palme che fa vivere assieme il trionfo e la passione di Gesù.
La Liturgia, con la narrazione del Vangelo della passione proclamato dopo il Vangelo dell'ingresso in Gerusalemme, mostra il volto di Gesù nella passione. Gesù è re, ma l'unica corona che gli viene posta sul capo è quella dispine, l'unico scettro è una canna e gli unici paramenti regali sono un manto scarlatto per prendersi gioco di lui. Gesù non sta nei palazzi dei potenti. L'unica volta che vi entra è durante questi giorni, per essere giudicato e messo a morte. Gesù è re, ma il suo regno non è di questo mondo.
La fatica di amare
È molto strano che un centurione romano, cioè un ufficiale delle guardie che avevano condotto Gesù alla croce, dopo la sua morte, disse: “Davvero costui era il Figlio di Dio” (Mt 27,54). E lo dissero anche altri che erano con quel centurione e che facevano la guardia a Gesù: “Davvero costui era il Figlio di Dio". Eppure lo avevano crocifisso. Ma una luce aveva illuminato il loro cuore di fronte a quella croce, in quell'ora d'angoscia. Davvero solo Dio poteva vivere e morire in quel modo, ossia dimenticando se stesso per donarsi totalmente agli altri. E se ne accorse un militare pagano.
Questa Pasqua è una domanda personale ad ognuno di noi: perché dormi? perché non sei stato capace di vegliare un'ora sola con me? veglia - ti prego - con me! È un invito pieno di affetto e rivolto proprio a me.
Forse questo invito ci richiede una fatica: la fatica di lottare contro il sonno, contro l'amore per sé prepotente, contro le abitudini della mente e del corpo, per stare svegli (che vuol dire attenti e sensibili) accanto a lui. La Passione e la Pasqua, con le liturgie e oltre le liturgie, si presentano come una grande veglia personale degli amici accanto a Gesù. Sì, questo è un tempo di veglia accanto a Gesù. Vogliamo accogliere, in quest'ora, con tutta semplicità l'invito che ci viene fatto.
Bisogna spogliarsi delle complicazioni della nostra vita: dei nostri sentimenti e dei nostri risentimenti, dei nostri giudizi e dei nostri pregiudizi. Che fece Gesù, prima della lavanda dei piedi? Non aveva tante ragioni di rimprovero verso i suoi discepoli, che sarebbero risultate giuste? Che fece Gesù? Gesù si spogliò delle sue vesti. Bisogna spogliarsi dei nostri abituali abiti mentali e di comportamento, che ci qualificano verso gli altri. Gesù si mise l'abito del servizio. Vedeva i piedi degli altri, cioè la fatica del loro cammino e non il volto, che magari poteva essere arrogante o ambiguo. Ma non li giudicò, pur sapendo che lo avrebbero lasciato. Li amò sino alla fine. Questa è la difficile semplicità, ma tanto liberante.
Non è complicato! Siamo semplici in questa Pasqua, spogliandoci di tutto quello che ci difende, ci distingue, ma anche offende e allontana. Non facciamoci dominare dalle nostre passioni. Non arriviamo attaccati a quello che è vecchio. Si può rinnovare lo spirito della propria mente; ci si può rivestire dell'uomo nuovo. Si può tornare bambini nelle lacrime del pentimento.
-
Intenzioni di preghiera:
- O Signore mentre entri a Gerusalemme e vai verso la tua Passione, aiutaci a stringerci a te, a seguirti con fedeltà ed amore, nell’ora dolorosa della croce per rinnovare profondamente la nostra vita, abbandonando l’amore per noi stessi, aprendo il nostro cuore alla forza mite del tuo Vangelo che cambia il mondo.
- Ti preghiamo o Signore per il Papa Benedetto XVI, per il nostro vescovo Michele e per tutta la Santa Chiesa, perché viva con fede il mistero della Passione, raccolga dalla croce il frutto della speranza e lo annunci a tutte le genti.
- O Signore la tua passione ci ricorda che siamo amati senza misura. Con questa certezza ci rivolgiamo a Te e ti invochiamo per la pace di tutti i popoli e per tutti coloro che sono colpiti dalla guerra, dal dolore, dall’umiliazione, dal male. Aiutaci nel tuo nome ad essere sempre solidali con loro.
|