Dal Vangelo di Luca,
capitolo 18, da 1 a 8.
9Disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: 10“Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo.
13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore.
14Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”.
PONIAMOCI UMILMENTE DINANZI AL SIGNORE
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L’uomo dinanzi a Dio
Dopo averci parlato, attraverso la parabola del giudice ingiusto e della povera vedova, dell’importanza della preghiera nella propria vita, oggi Gesù vuole continuare con noi il dialogo sulla preghiera, perché attraverso di essa noi possiamo crescere nel nostro rapporto con Dio, cambiando atteggiamento anche verso gli uomini.
La preghiera ci pone dinanzi a Dio come povere creature che si rivolgono al Creatore, come persone che riconoscono la loro piccolezza, fragilità, povertà, e si rivolgono con fiducia a Colui che può salvare la nostra vita e renderla feconda.
Ancora una volta Gesù sceglie di parlarci attraverso una parabola, col suo linguaggio semplice e immediato perché vuole toccare il cuore di ciascuno.
L’antica tentazione dell’autonomia
C’è una tentazione antica e persistente nell’uomo di pensarsi autonomo da Dio o di renderlo un semplice contabile dei nostri meriti e demeriti, secondo il conto peraltro soggettivo che gli presenta il giusto, o colui che si ritiene tale. Pensiamo alla tentazione dei primi uomini nel paradiso terrestre di volersi rendere autonomi da Dio, o alla torre di Babele simbolo della volontà di innalzarsi al cielo con le proprie forze, di affermarsi contro Dio o senza Dio; oppure pensiamo all’atteggiamento del profeta Giona a Ninive, che considerava il popolo della città ormai condannato per la sua condotta.
Nella parabola Gesù ci svela il Padre suo contro tutte le immagini che gli uomini si fanno di lui.
Il fariseo, religioso osservante (oggi si direbbe cattolico praticante) e il pubblicano (che raccoglieva le tasse dal proprio popolo per un governo straniero, considerato un traditore politico e perciò persona riprovevole), ambedue salgono al Tempio per rivolgersi a Dio nella preghiera.
Ma i loro atteggiamenti di fronte a Dio sono opposti.
Due atteggiamenti differenti di fronte a Dio
Il fariseo, sicuro di sé e arrogante, prega, ma crede nelle sue ragioni e opere. Il suo sentirsi giusto lo rende persino volgare, diventa un giudizio sugli altri, ladri, ingiusti, adulteri. Accusa, ma non sa chi è egli stesso, una persona banale, incapace di riconoscere la propria miseria.
Tutti siamo stati e siamo ancora dei poveracci. Tante volte ci nascondiamo disprezzando gli altri. È quello che vediamo nell’atteggiamento del figlio maggiore nella parabola del Padre misericordioso: “Ora che torna a casa questo tuo figlio che ha dilapidato i tuoi beni con le prostitute, per lui ha fatto ammazzare il vitello grasso” (Luca 15,30).
È l’atteggiamento che tante volte riscontriamo nei Vangeli, è quella che possiamo chiamare l’autosufficienza dei campioni dell’osservanza religiosa. Pensiamo alle parole dei farisei e degli scribi nei confronti del cieco nato: “Sei nato immerso nei peccati e pretendi di insegnarci?” (Giovanni 9,34). O al giudizio del fariseo dinanzi alla peccatrice che bagna con le sue lacrime i piedi di Gesù e li asciuga con i suoi capelli (Luca 7,39).
È un atteggiamento ricorrente delle persone osservanti quando dicono: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro” (Luca 15,2); quando vedono che va a casa di Levi o si reca a casa di Zaccheo: “È andato ad alloggiare in casa di un peccatore!”.
Uno shock salutare
La conclusione della parabola ci può scioccare, ma è uno shock salutare: “vi dico che il pubblicano tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato” (v.14). Dio, come leggiamo nel libro del Siracide, ascolta proprio la preghiera dell’oppresso, la preghiera dell’umile penetra le nubi.
L’atteggiamento da avere dinanzi a Dio è quello del pubblicano e non del fariseo, ricordando la raccomandazione di Gesù (Luca 17,10): noi siamo dei poveri servitori, non abbiamo fatto che quanto dovevamo fare!
Il pubblicano non misura la sua distanza dagli altri, come fa il fariseo, ma la sua distanza da Dio. Egli è sicuro di essere povero. La sua preghiera è ascoltata perché è fatta con umiltà. Chi non prega, o prega giudicando, sarà sempre un po’ arrogante. Il pubblicano fa una preghiera semplice: “O Dio, abbi pietà di me peccatore” (v.13). È la preghiera semplice del figlio prodigo, diverso dal figlio maggiore che vanta i propri meriti e non prega, litiga solo.
Oggi accogliamo la Parola del Signore
Gesù stesso percorrendo le strade della Galilea, della Samaria e della Giudea, ha dovuto costatare che le sue parole trovavano accoglienza maggiormente presso gente semplice con una condotta non sempre esemplare, mentre si scontrava con una opposizione crescente da parte delle persone osservanti.
Gesù vuole donarci un cuore di carne, liberandoci dal giudizio, dalla presunzione verso Dio e verso gli altri, atteggiamenti che nascono da un cuore di pietra. Il Signore Gesù vuole farci conoscere la libertà del Padre suo che è compassionevole e perdona, vuole condurci a percorrere le strade del nostro mondo, ad incontrare gli uomini e le donne nostri contemporanei con la sua stessa compassione e misericordia.
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