Domenica 1ª del tempo di avvento /A

2
dicembre
2001
Letture bibliche: Isaia 2, 1-5; Salmo 121; Romani 13, 11-14; Matteo 24, 37-44.

Giudizio universale (Giotto)

dal Vangelo di Matteo, capitolo 24 versetti 37-44

37Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo.
38Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell'arca, 39e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del Figlio dell'uomo.

40Allora due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l'altro lasciato. 41Due donne macineranno alla mola: una sarà presa e l'altra lasciata.

42Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. 43Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa.
44Perciò anche voi state pronti, perché nell'ora che non immaginate, il Figlio dell'uomo verrà.

OPERIAMO PERCHE' SORGA UN'ALBA DI PACE

Operai di pace in un tempo difficile

Inizia oggi il tempo di Avvento, che non è solo un periodo di preparazione al Natale, ma anche l'occasione per riflettere sul senso della storia personale, della storia di questo mondo e della Chiesa a cui noi apparteniamo.

Nel cuore di tanti uomini e di tante donne c'è il desiderio forte di un mondo che viva in pace, tanti popoli vivono come piegati dalla paura, dalla guerra e dalle conseguenze terribili che ogni guerra porta con sé: case crollate, mancanza di cibo e vestiti, mancanza di medicine. Essi sono in attesa che sui loro paesi sorga il giorno di inizio di un tempo di pace.

Ma ci sono anche gli uomini della guerra; e ci sono soprattutto tanti cuori che odiano, che desiderano vendetta, che preparano violenze. Tutti condanniamo il terrorismo, forse non tutti condanniamo la violenza e la guerra; non sono pochi quelli che credono nella soluzione violenta.

Un altro massacro nella notte fra questo sabato e domenica nel cuore di Gerusalemme, la città dove Gesù è entrato mite ed umile, cavalcando un asinello e subendo una ingiusta morte in croce. Gesù e tutto il Vangelo ci insegnano che la via della pace non passa per quella della violenza.

Attentati e risposte continue dure e violente costituiscono una spirale che aggiunge violenza a violenza, ritorsione a ritorsione. È difficile che questa strada violenta possa portare alla pace.

Il Signore verrà alla fine della storia

Le pagine della Scrittura proclamate in questa prima domenica di Avvento ci dicono con chiarezza che questo tempo e la storia degli uomini non è come una strada senza sbocco; vivere non è andare verso l'ignoto. Alla fine di questa storia il Signore verrà di nuovo e allora tutti saremo giudicati. La storia degli uomini va verso l'incontro col Signore.

L'evangelista Matteo - che sarà il nostro compagno di viaggio lungo tutto quest'anno - parla alla comunità cristiana, davanti ai recenti avvenimenti della guerra fra romani e giudei che avevano portato all'assedio di Gerusalemme e alla distruzione del Tempio (anni 70 d.C.). Questi fatti violenti chiamano la comunità alla riflessione e alla vigilanza, perché non si addormenti su se stessa, ma viva e cammini alla luce del Signore.

Come non sentirci anche noi interpellati in questo tempo di violenze e di guerre?

Per noi vivere è camminare verso il Signore, preparare la sua venuta. "Non vivete - dice Gesù ai discepoli - come quelli che ai tempi di Noè; quando questi preparava l'arca davanti al pericolo incombente del diluvio, essi continuavano a vivere come sempre: mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, senza comprendere quello che stava per accadere".

Il profeta Isaia che sogna la pace in un tempo difficile

Oggi c'è bisogno di pace, ma sono ancora troppo pochi gli operai di pace. Il profeta Isaia, un uomo di Dio vissuto a Gerusalemme nella seconda parte del settimo secolo prima di Cristo, accoglie la Parola di Dio, mentre anch'egli vive in un tempo difficile: situazioni di ingiustizia e di violenze soprattutto nei confronti dei poveri, assieme a guerre e distruzioni.

La sua parola - proclamata oggi - giunge sino a noi e ci chiama a guardare oltre il mondo delle logiche egoiste e violente delle passioni degli uomini; invita a salire sul monte di Dio, da dove contemplare la visione di un mondo di pace.

"Verranno molti popoli e diranno: Venite, saliamo sul monte del Signore … perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri" (Isaia 2,3). La liturgia che ci raccoglie nel giorno del Signore è questo monte alto da dove vediamo orizzonti di pace e conosciamo le strade che ci fanno camminare verso la pace. E la comunità dei discepoli del Signore è già immagine di pace, è la città posta sul monte, come una luce posta in alto, che indica agli uomini il cammino della salvezza.

Ascoltando la parola del Signore vediamo aprirsi orizzonti che, stando in basso, nell'ordinarietà della nostra vita, non vediamo; e viviamo senza renderci conto di quello che accade intorno "come ai tempi di Noè".

Comprendere le domande del tempo presente

Per noi c'è il rischio di vivere senza comprendere le domande del tempo presente e le possibilità che abbiamo di operare in maniera sapiente per noi e per questo mondo.

Anche oggi - come ai tempi di Isaia - ci sono troppe spade alzate, troppe lance, troppe guerre, troppi odi e rancori. Isaia ci svela il sogno di Dio e ci chiama ad operare per vivere questo sogno. Il sogno è di vedere popoli che trasformano le loro armi da strumenti di morte in strumenti di lavoro: "forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci" (Isaia 2, 4). E invece di combattersi cammineranno insieme.

"Vegliate - ci dice il Signore per bocca dell'evangelista Matteo - state pronti, perché nell'ora che non immaginate, il Figlio dell'uomo verrà" (Matteo 24,42). È questo l'atteggiamento con cui stare in questo mondo, con cui porsi: essere pronti per il Signore, preparando la strada alla sua venuta.

Lavorare per la pace è diventato in questo tempo un imperativo urgente: è come costruire presto un'arca dove gli uomini possano salvarsi, l'arca della pace.

I gesti coraggiosi del Papa

Qual è il senso dell'invito di papa Giovanni Paolo II a fare un giorno di digiuno il 14 dicembre prossimo, ultimo giorno santo del mese di digiuno che vivono i musulmani, il Ramadan, se non un gesto che ci apre il cuore alla fraternità, ai bisogni di quelli che sono più poveri di noi?

E l'invito del Papa fatto ai capi religiosi di tutte le confessioni, di tornare ad Assisi nel prossimo mese di gennaio? Egli li ha invitati per cercare insieme le vie della pace e diventare più insistenti nella preghiera perché piova su questa terra la pace che viene dall'alto.

Non è questo un invito anche a tutti noi a cercare in tanti modi concreti le vie della pace? Vivere in pace fra di noi, aprirsi alla solidarietà con i più poveri, vicini e lontani, educarci ed educare alla convivenza pacifica: sono strade che ciascuno e tutti insieme abbiamo già imboccato. Ma il papa ci invita ad accelerare il passo, moltiplicare i gesti di amicizia e di solidarietà, crescere nell'unione vicendevole, essere già un annunzio di pace con la nostra vita.

Cresciamo nella fraternità, vegliamo perché fra di noi sia vinta ogni divisione, cresca la comprensione e si diffonda intorno a noi. "È tempo di svegliarvi dal sonno - ci dice l'apostolo Paolo - di gettare via le opere delle tenebre e indossare le armi della luce, di vivere come in pieno giorno" (Romani 13, 11-13).

La luce che illumina i nostri giorni è la Parola del Signore, il vangelo di Matteo che vogliamo prendere fra le mani ogni giorno. Così vivremo nella luce e saremo luce per tanti intorno a noi.


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