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Napoli
"IL SANGUE E LA SPERANZA"
una riflessione sul messaggio del Cardinale Sepe alla cittą di Napoli

Una cosa che colpisce subito leggendo il messaggio del cardinale Sepe alla città di Napoli è il tono colloquiale del testo, e chi ha avuto modo già di incontrarlo coglie immediatamente questo tratto familiare e diretto. Questo dispone ad un incontro aperto, ci fa essere contenti e ci spinge a riprendere il cammino con più speranza, con più forza e con più coraggio.

Sulle cronache non solo cittadine, ma nazionali ed europee, si dibatte sulla nostra città: la vita di questa città è dominata dalla criminalità e dalla violenza? Roberto Saviano, in un recente libro dal titolo significativo, Gomorra, parla di Napoli come di una realtà dominata dal “Sistema”, dalla ragnatela della camorra, ben diffusa.

Ma Napoli non è solo crimine, violenza, miseria. Napoli è anche altro. Certo, i problemi a Napoli ci sono, e sono tanti e almeno un po’ li conosciamo. Napoli è anche sangue sparso dalla violenza, ma non solo. Questo è il senso del messaggio del Cardinale Sepe – Il sangue e la speranza - lanciato non solo ai fedeli ma a tutti i cittadini di Napoli: “Napoli, terra di sangue, è anche terra di speranza”.

Il messaggio, che si radica nella fede vissuta dai cristiani napoletani, sta trovando eco anche nel mondo laico e istituzionale, perchè Napoli ha bisogno di speranza. Il Cardinale afferma che la città “necessita di simboli capaci di rappresentare il legame tra il dolore e il riscatto”. E questo è anche il senso di un incontro-tavola rotonda – promosso dalla Comunità di Sant’Egidio unitamente alla Diocesi il prossimo 10 novembre per la presentazione appunto della Lettera del Cardinale nella basilica di Santa Chiara – a cui interverranno il presidente della Regione Campania Bassolino, il professor Tessitore già Rettore dell’Università Federico II, il professor Andrea Riccardi fondatore della Comunità e lo stesso Cardinale Sepe.

l'accoglienza a Scampia

Sappiamo che tanti quartieri della città sono teatro di violenza, e quindi dominati dalla cultura della paura e del conflitto. Non è facile o immediato sperare a Napoli. Ma non per questo è impossibile. Il Cardinale è convinto – e credo anche noi con lui - che nella vita della città, ci sono tante energie di bene, tante forze di speranza, tante capacità umane. Sono spesso staccate le une dalle altre, brandelli di vita buona, frammenti di novità. Bisogna riunire attorno alla speranza le tante energie umane, religiose, culturali, civili, imprenditoriali di Napoli. Così si legge nella lettera: “Noi cristiani sappiamo che nell'ora più buia della notte, nel tempo della gioia e della povertà, della grandezza e della miseria, è possibile annunciare e riorganizzare la speranza”. La speranza cristiana e la dimensione ecclesiale possono riunire questi frammenti di vita buona.

La Chiesa può riunire questi mondi e questi frammenti. Nella lettera il cardinale cerca questi frammenti di speranza nella città e individua gruppi di testimoni in parte noti, ma anche inediti. Accanto ai «testimoni della presenza» (cristiani impegnati), ai «testimoni della verità» (quelli che insegnano), ai«testimoni della solidarietà», ai «testimoni della legalità», ai «testimoni della compagnia» (il settore dedicato all'accoglienza), si trovano i «testimoni della bellezza», e soprattutto due categorie che colpiscono: i «testimoni della precarietà» , cioè i napoletani che vivono nell'arrangiarsi o nella disoccupazione, e le madri (“«forse possessive, ma sicuramente capaci di difendere con le unghie e con i denti la dignità dei propri figli…”). Questi testimoni della speranza, dispersi nel variegato tessuto sociale napoletano, hanno molto da dare alla città: sono una riserva umana ricchissima. Bisogna, allora, organizzare la speranza.

Nelle intenzioni del Cardinale c’è la voglia di dare anima e fiducia a una città troppo rassegnata, accettando la sfida della vita, con i suoi dolori e i suoi drammi, e non rifugiarsi nel chiuso dei suoi ambienti. Il Cardinale scrive: “Quando la disperazione attraversa le nostre vie, quando tocca i nostri figli, i senzatetto, chi è senza lavoro o chi, ancora bambino, è costretto a lavorare, la speranza sembrerebbe diventare vuota illusione, inutile attesa di un desiderio che non si avvererà”.

prima di entrare in Duomo

Così è per quelli in carcere che, una volta liberati, non troveranno altro lavoro che il delinquere. Per tanta gente dei nostri quartieri del centro o della periferia. “Se i nostri ragazzi, - si interroga il cardinale - i nostri scugnizzi e quelli venuti da paesi lontani in cerca di futuro, venissero abbandonati agli angoli delle strade, ai piedi dei semafori a pulire parabrezza, come potrebbero spezzare le catene del pessimismo che li legano alla criminalità organizzata? Come potrebbero avvertire quel calore nel cuore che genera speranza?”.

C’è nella lettera il richiamo al Cardinale Ursi che parlava di un “tempo della strada”, a cui si deve affiancare “il tempo della Chiesa”. Forse per noi bisogna invertire le due cose: bisogna affiancare “il tempo della Chiesa al tempo della strada”. La sfida della strada vuol dire la sfida della vita concreta della gente, quella dei nostri vicoli del centro storico, come quella delle nuove periferie urbane.

La Chiesa ha le energie per non cedere al pessimismo o all’abitudine rassegnata della vita quotidiana. Ci sono i luoghi dove questa speranza non muore, a partire dalle nostre comunità che celebrano l’Eucaristia. Rendiamo sempre più belle le nostre celebrazioni, soprattutto quelle della domenica, attraenti, con una attenzione ai segni, al decoro, allo spazio dell’omelia e al rispetto non solo delle regole liturgiche ma al loro spirito. Tutto questo perché i cristiani delle nostre comunità entrino in un rapporto vivo col Signore Gesù.

Questa corrente di speranza può contribuire al risveglio della nostra città, dei ricchi e dei poveri, dei credenti e dei non credenti, dei cattolici, degli altri cristiani, della gente di altra religione. Napoli è una metropoli nel cuore del Mediterraneo. Noi possiamo far sì che Napoli sia una città che comunichi con il Sud del Mediterraneo, che ne conosca il linguaggio e che sia un ponte verso questa realtà. Quando il Mediterraneo rischia di diventare oggi un mare di conflitti, tra l'Islam e l'Occidente, Napoli può essere il cuore mediterraneo non solo dell'Italia, ma anche dell'Europa.

La lettera Il sangue e la speranza è un segnale di speranza che vuole aprire un discorso con tutti, dalle autorità, alla cultura, alla gente della strada. Ma è anche un inno di speranza e dice: “Noi abbiamo le energie per farlo!”.

Con la consapevolezza che Dio opera in Cristo e Cristo col suo spirito opera in noi e per mezzo nostro, noi vogliamo affiancarci con sempre maggiore generosità al nostro Vescovo, sviluppando sempre più – primariamente fra noi e poi con tutti – quel senso di solidarietà, di carità, di amore fraterno. La nostra forza – ci ricorda il cardinale richiamando il documento conciliare sulla Chiesa al numero 8 – nasce, nella nostra debolezza, dalla nostra unica risorsa che è nel Signore.

Ricostruiamo nelle nostre comunità e nei nostri quartieri i luoghi della speranza. Saranno frammenti, saranno spazi piccoli dentro una realtà più vasta. Ma che sono delle luci che si accendono in una realtà dove non sempre si riesce a vedere la strada.

Dobbiamo lavorare per vedere se e come è possibile “organizzare nuove strutture e nuove forme di carità, per risollevare chi è solo, chi è nel bisogno materiale e spirituale, senza indulgere al lamento o al vittimismo, senza aggrapparci al puro assistenzialismo. Lavorare in sintonia con tutti gli uomini di buona volontà, anche di diversa fede o non credenti”.

Verso la fine della sua lettera il Cardinale ci ricorda che “chi ha fede, chi confida nel Signore, non resterà deluso. La speranza non inganna perché l’amore di Dio è stato effuso nei nostri cuori attraverso lo Spirito. C’è bisogno di imparare a giudicare gli avvenimenti alla luce della Parola di Dio, liberando la nostra storia dalla logica dei calcoli umani… Cerchiamo sempre di porre Cristo al centro della nostra vita, facendolo presente attraverso opere di carità, prendendoci cura dei deboli, afflitti, poveri, di chi ha bisogno della nostra compagnia, di spezzare il pane con noi. Perché non c’è speranza senza fede, ma non c’è speranza senza carità”.