Ho trascorso, questa estate, alcune settimane in un paesino dell’Irpinia con meno di duemila abitanti.
Nei primi giorni tutti hanno notato la mia presenza, non sfuggivo ai loro sguardi; alcuni mi chiedevano da dove venivo, quanto tempo mi sarei trattenuto, che cosa ero venuto a fare. È una immagine che, seppur piccola, può aiutare a comprendere il disagio di tanti non solo di fronte a persone provenienti da altri continenti, ma anche l’incontro con altre religioni che prima non si manifestavano nelle nostre regioni.
Fino a qualche decennio fa, la maggior parte delle persone, per la gran parte della propria vita, era circondata da altri con cui condivideva una fede, una tradizione, un modo di vivere. Le persone che venivano da fuori erano poche.
Oggi la situazione è differente. Viviamo in quella che si può chiamare “la consapevole presenza della differenza”: per strada, al lavoro, per televisione, incontriamo continuamente culture le cui idee ed i cui ideali sono diversi dai nostri. Possiamo pensare che tutto questo sia una minaccia per la nostra identità? Alcuni lo pensano.
In questo mutato contesto, viene da domandarci: “che significa essere cristiani oggi?”
Pochi decenni addietro, negli anni ’70, in Italia e in Europa si pensava che entro poco tempo la religione sarebbe diventata muta, marginale, inoffensiva, incamminata sulla via del declino.
Oggi vediamo che la religione – o meglio le religioni - sono chiamate a svolgere un compito essenziale per la vita dell’umanità. Certo, guardando al nostro mondo italiano, vediamo che tanti sono quelli che ci tengono a vivere gli appuntamenti tradizionali della propria religione, ci tengono a che i propri bambini si preparino alla prima Comunione, anche se essi raramente pongono piede in Chiesa e ancora più raramente aprono il libro del Vangelo.
Abbiamo quindi da una parte un risveglio e un attaccamento alle proprie usanze cristiane, mentre le istanze che ci vengono dai conflitti in corso, dalle minacce del terrorismo pongono domande e chiedono risposte ben più profonde.
La tecnologia e lo sviluppo ha portato certamente benefici a molti, ma ha prodotto anche disagi, devastazioni e povertà a molte altre persone.
Se noi cristiani torniamo alle radici nostre più profonde, al Vangelo, lì ritroviamo la vicinanza di Gesù ai poveri e sofferenti, lo vediamo tante volte fermarsi dinanzi all’urlo dei sofferenti.
Forse è compito dei cristiani oggi dare voce all’urlo silenzioso di quelli che oggi soffrono per la mancanza di mezzi di sostentamento, per la fame, la malattia, per la mancanza di libertà.
Dobbiamo ancora notare che il progresso tecnologico e lo sviluppo economico hanno adottato dei meccanismi che rendono marginali le istanze morali, non c’è una visione del bene comune; all’ “io devo” si è andato sostituendo “io voglio”, “io scelgo”, “io sento”.
Si tratta di recuperare nelle nostre radici cristiane la tradizione più antica che parla di solidarietà umana, di giustizia, di compassione e della dignità di ogni singola vita.
Oggi gli uomini hanno bisogno di saggezza, di una bussola che aiuti a comprendere “dove stiamo andando” o “dove dovremmo andare”. E la religione è una fonte ricca di saggezza, è la bussola che ci indica la direzione.
Noi cristiani nel Vangelo troviamo i contenuti per guardare oltre il presente, per aprirci a una realtà complessa in cui la differenza, la diversità non è una minaccia ma un arricchimento: ciascuno di noi ha qualcosa che manca a qualcun altro, e tutti noi manchiamo di qualcosa che qualcun altro ha.
Abbiamo bisogno di imparare a convivere, a concederci spazio a vicenda. E nel Vangelo noi troviamo la risposta alla domanda: Cosa vuole Dio da noi in un’epoca nuova e pericolosa?
Rispetto, moderazione, umiltà, senso del limite, capacità di ascoltare e sentire compassione … sono tutte virtù che il mercato globale non produce; ma sono attributi fondamentali per la vita del nostro mondo.
Lavorare per la tolleranza, per la pace. Dobbiamo comprendere non solo l’importanza della comunione fra gli uomini, ma anche l’importanza della differenza per comprendere che nessuna civiltà ha il diritto di imporsi con la forza sulle altre e che Dio ci chiede di rispettare la libertà e la dignità di coloro che sono diversi da noi.
Mi colpiva l’appello di pace firmato da uomini e donne di religione diversa al termine dell’incontro internazionale “Religioni e Culture: il coraggio di un nuovo umanesimo” promosso dalla Comunità di sant’Egidio a Milano nel settembre 2004.
Provenienti da sessanta paesi del mondo essi affermano: “siamo scesi nel profondo delle nostre tradizioni religiose, abbiamo guardato con compassione alle ferite del mondo in cui viviamo, dei piccoli e dei deboli … Oggi è il tempo del coraggio di un nuovo umanesimo, che aiuta a dominare la paura e che permette di costruire già adesso il mondo di cui abbiamo bisogno. Tale coraggio è nutrito dalla fede. Crediamo nel dialogo. Il dialogo protegge, spinge tutti a vedere il meglio dell’altro e a radicarsi nel meglio di sé. Il dialogo trasforma l’estraneo in amico e libera dal demone della violenza”.
Esistono molte culture, civiltà e fedi, ma Dio ci ha donato un solo mondo in cui convivere. è questa la sfida che i cristiani possono accogliere nel tempo presente. |