Dopo i "libri storici" del Vecchio Testamento, segue una seconda sezione detta dei libri "sapienziali". Di questi mediteremo il libro di Giobbe e il libro della Sapienza.
Ambedue i libri sono accomunati da una domanda di fondo: perché soffre il giusto, che viene persino eliminato prematuramente (così il libro della Sapienza), mentre chi opera il male sembra prosperare nell'abbondanza?
Si tratta di una domanda cruciale per il popolo di Israele che considerava la sofferenza, nelle sue diverse forme, come una punizione per il peccato, mentre la prosperità e la ricchezza una benedizione divina.
Giobbe si ribella a questa concezione e chiede direttamente a Dio il perché del suo silenzio di fronte ad una situazione amara che lo vede privato di tutto. I tre "teologi" vogliono convincerlo della sua colpevolezza, la sola che può spiegare la privazione nella quale è precipitato. Giobbe invece rivendica la sua innocenza.
Solo la scoperta della vicinanza di Dio nel dolore lo ricostituisce nella sua condizione originaria. Non è Dio infatti che sta all'origine della sofferenza e della morte, come afferma chiaramente il libro della Sapienza: "Dio ha creato l'uomo per l'immortalità; lo fece a immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per l'invidia del diavolo, e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono" (2, 23-24).
I giusti sono tutti nelle mani di Dio. Da questa prospettiva si può ripercorrere non solo la propria storia personale, ma quella di tutto Israele - come fa il libro della Sapienza - per mostrare la misericordia e le benevolenza di Dio verso tutte le sue creature.