Lettera agli Ebrei
Diversamente da ciò che si potrebbe pensare, questo scritto non è una "lettera" indirizzata agli "Ebrei", ma piuttosto un "discorso di esortazione" (13, 22) per cristiani che attraversano una situazione di prova e di crisi. Tra i possibili autori si fa il nome di Apollo, noto nella Chiesa primitiva per la profonda conoscenza delle Scritture e della raffinata eloquenza (Atti 18, 24-28).
Certamente non è opera di Paolo, troppo diversi lo stile e il linguaggio. Tema centrale è il sacerdozio di Cristo e il sacrificio che egli ha fatto di se stesso quale mediatore della nuova ed eterna alleanza.
Gesù ha sperimentato sofferenza e morte per condurci a Dio. Occorre, dunque, ravvivare la speranza e continuare il cammino tenendo fisso lo sguardo su Gesù. Interessanti i saluti finali da parte dei cristiani d'Italia.
|
L'apostolo Paolo
|
|
|
Le lettere e il carisma di Paolo
Paolo nasce a Tarso nella Cilicia, nella parte a sud est dell'attuale Turchia, attorno all'anno 8, non è lontana da Antiochia di Siria, capitale della provincia romana della Siria-Palestina.
Tarso contava circa 200.000 abitanti, con una consistente comunità di ebrei che parlavano il greco. Le due lingue più parlate dagli ebrei al tempo di Paolo erano l'aramaico in Palestina e il greco, la lingua di comunicazione di quel tempo, nelle città fuori della Palestina, le città della diaspora. La famiglia di Paolo discendeva dalla tribù di Beniamino, una delle dodici tribù all'origine del popolo di Israele, e quindi proviene probabilmente dalla Palestina.
Paolo compie gli studi a Gerusalemme sotto la guida di Gamaliele; quindi conosce non solo l'Antico Testamento ma anche le interpretazioni rabbiniche della Bibbia. Per questo i metodi dell'esegesi rabbinica si ritrovano nelle sue lettere. Così quando Paolo parla di Gesù ne parla all'interno dell'Antico Testamento. Nella Lettera ai Galati, ad esempio, Paolo interpreta la tradizione di Abramo da cristiano, da discepolo di Gesù (cf. Gal 3). Alla scuola di Gamaliele Paolo conosce soprattutto la Torà, la legge, la prima parte dell'Antico Testa-mento (è il Pentateuco nella Bibbia cristiana). Nella tradizione ebraica la Legge era la parte più importante della Bibbia e fu considerata normativa prima degli altri libri biblici.
La prima lettera di Paolo è quella ai Tessalonicesi, scritta nell'anno 51. L'ultima è invece scritta ai Colossesi negli anni prima del martirio subito a Roma, quindi poco dopo il 60. Tutte le lettere sono scritte prima che siano redatti definitivamente i Vangeli. Sono i primi scritti del Nuovo Testamento. Si potrebbe dire che essi contengono il Vangelo nella sua origine, il cuore dell'annuncio evangelico. Emerge in modo molto chiaro che il carisma di Paolo è la comunicazione del Vangelo.
Paolo vive una vera passione per la comunicazione del Vangelo, di cui ne sente l'urgenza. Nei capitoli 10 e 11 della 2 Corinzi sente l'orgoglio di questa sua missione, che difende di fronte agli accusatori. La sua difesa è la difesa stessa del Vangelo e del suo annuncio. Paolo sostiene con vigore che il Vangelo è rivolto a tutti: ai giudei, ai pagani, ai deboli, ai forti, ai barbari, ai greci. Senza la sua comunicazione non esiste comunità.
Ogni comunità nasce dall'annuncio del Vangelo. E nasce come assemblea, come Chiesa, riunita appunto intorno alla proclamazione del Vangelo di Gesù Cristo morto e risorto. Sia dalle sue lettere che dagli Atti appare che Paolo dedica molto tempo alla predicazione nelle varie città dell'impero. comunicazione del Vangelo. Si è calcolato che nei suoi viaggi missionari abbia percorso circa 15.000 km per poter raggiungere tutti. E viaggiare era allora un'impresa notevole. Egli stesso ricorda le fatiche e le sofferenze subite durante i suoi numerosi viaggi (2 Cor 11,23-30).
L'apostolo insiste inoltre sulla gratuità della comunicazione del Vangelo, tanto da non voler dipendere da alcuno per questo. Tuttavia non vive questa passione evangelizzatrice da solo. Si circonda di collaboratori: Timoteo, Marco, Barnaba, Sila, sono solo alcuni dei sessanta nomi che troviamo citati esplicitamente nelle sue lettere. Tra loro ci sono anche venti no-mi di donne, alcune con una funzione importante nelle diverse comunità. Paolo dà dignità ai suoi collaboratori: quella che riceve chiunque predica il Vangelo.
Un tema particolarmente importante che emerge nelle lettere di Paolo è la sua preoccupazione per l'unità delle comunità. La Chiesa è sacramento di unità. L'immagine della prima Lettera ai Corinzi sulla comunità come "corpo" descrive con chiarezza la necessità di appartenere come gente diversa a una realtà comune, il cui "capo" è il Cristo (1 Cor 12).
Quando Paolo scrive che non ci sono più né giudei né greci, né schiavi né liberi (1 Cor 12,13), svolge un pensiero teologico a partire dalla realtà della situazione di quella città: la comunità era chiamata a formare un unico popolo di gente diversa.
A Corinto, Paolo è molto preoccupato per l'unità non solo perché si trattava di persone di diversa provenienza, ma anche per il sorgere di partiti all'interno stesso della comunità. Paolo insiste sull'unità della Chiesa. Nella comunità vi erano anche persone ricche, aristocratiche. L'apostolo interviene perché la diversità di stato sociale non intacchi la fondamentale fraternità.
Infine si deve almeno accennare alla grande opera dell'apostolo che aprì con decisione le porte del Vangelo ai pagani. Non fu immediatamente chiaro il modo in cui i pagani avrebbero potuto far parte della Chiesa. Le difficoltà riguardavano la necessità di sottomettersi alla Legge ebraica. Al problema del rapporto tra Legge e Vangelo Paolo dedica molti capitoli delle lettere ai Romani e ai Galati. Si comprende la centralità di questo problema sia pensando alle origini e all'educazione dell'apostolo, sia ricordando che i primi discepoli di Gesù venivano tutti dall'ebraismo: per essi la Legge era il passaggio necessario e indispensabile dell'itinerario di fede. Paolo afferma a più riprese la libertà del Vangelo dalla Legge.
Il Vangelo non può essere imprigionato da nessuna cultura, le fermenta tutte rendendole nuove. Si comprende allora il discorso che Paolo fa sulla "giustificazione": essa non viene dalla Legge, ma dalla fede nel Signore, dall'accogliere il Vangelo. La giustificazione è la nuova situazione del cristiano, che in Cristo viene dichiarato giusto da Dio, che libera dal peccato l'uomo accogliendolo nella sua comunione. È il Vangelo di Gesù Cristo che giustifica, non la Legge.
È il Vangelo di Gesù Cristo che mette in comunione con Dio. Per questo, nella teologia di Paolo, il discorso della giustificazione ha un ruolo centrale. In un certo senso esso è strettamente legato al suo carisma, la passione per il Vangelo. |