Il Vangelo di Matteo fu scritto tra gli anni
80 e 90.
L'autore, molto probabilmente, lo redasse ad
Antiochia di Siria, città con una numerosa comunità
ebraica (qui, per la prima volta, i discepoli di Gesù furono
chiamati cristiani, e di qui Paolo iniziò la sua missione
verso il grande mondo dei pagani.
L'autore, nel redigere il testo, considerò
che la comunità di Antiochia era formata sia da ebrei che
da pagani. Agli uni doveva spiegare che Gesù era il compimento
delle promesse fatte da Dio al popolo di Israele, agli altri che
era l'atteso delle genti.
La Chiesa di Matteo è infatti una comunità
universale, fatta di ebrei e pagani, tutti però sottomessi
all'unico Vangelo di Gesù Cristo morto e risorto.
Tra il prologo e l'epilogo, che fanno emergere
l'umanità e la divinità di Gesù, Matteo ha
posto un seguito di dieci quadri: cinque narrazioni e cinque discorsi,
come a ripercorrere il Primo Testamento, ove a Mosè venivano
attribuiti i cinque libri del Pentateuco e a Davide i cinque libri
dei Salmi.
L'evangelista ci fa percorrere con Gesù
tutta la Bibbia per mostrarci che è il compimento della
storia, che non dobbiamo perciò aspettare nessun altro.
Gesù è il Messia, colui di cui avevano parlato i
profeti. Egli ha raccolto attorno a sè i discepoli perché
formassero il nuovo popolo di Dio, la Chiesa.
Matteo ha un grande senso della comunità;
ad essa il Signore affida la nuova legge di un amore senza confini,
anche per i nemici (5, 43-48), di un perdono illimitato, di una
preoccupazione continua per i fratelli (Matteo 18) e per i poveri.
Lo stesso Gesù, nuovo Mosè, Messia
e Figlio di Dio, non ha rinunciato ad amare neppure di fronte
alla sofferenza, perché non ha voluto salvare la sua vita,
ma quella del mondo.